Kim Ki-Duk ha fatto del cinema la metafora. L'uso dei simboli e le persone come tramite del simbolismo erano mezzi artistici già utilizzati dal regista ne L'Arco (2005) e poi in Bi-Mong - Dream (2008), ma qui, in Moebius, si tocca. per così dire l'apice di questa tecnica, attraverso la scarnificazione di ogni scena ridotta all'osso, la sceneggiatura è completamente annullata, anche la musica viene inserita soltanto all'inizio e alla fine, quasi come a voler aprire e chiudere il sipario.
L'eterna tragedia greca di Edipo Re viene messa in scena in maniera crudelmente grottesca. Sì, perché di fronte all'estremità di alcune scene e agli sguardi profondi e sofferti dei protagonisti, non si può far altro che ridere, cercando in tal modo di scacciare il malessere per difenderci dallo shock per poi, in seguito, sentirsi in colpa ad aver deriso la sofferenza.
Moebius non è altro che la storia eterna delle relazioni umane e della famiglia.
Il matematico tedesco August Ferdinand Mobius parla di un nastro (il cosiddetto nastro di Mobius) che, a differenza di altri oggetti i quali hanno una parte esterna e una interna, invece, "ha un solo lato e un solo bordo. Dopo aver percorso un giro, ci si trova dalla parte opposta. Solo dopo averne percorsi due ci ritroviamo sul lato iniziale. Quindi per esempio, si potrebbe passare da una superficie a quella "dietro" senza attraversare il nastro e senza saltare il bordo ma semplicemente camminando a lungo". (cit. Wikipedia)